“Ognuno di noi ha una storia del proprio vissuto, un
racconto interiore, la cui continuità, il cui senso è la nostra vita. Si
potrebbe dire che ognuno dio noi costruisce e vive un ‘racconto’
e
questo racconto E’noi stessi, la nostra identità.”(…..) l’uomo ha bisogno di questo racconto, di un racconto
interiore continuo, per conservare la sua dignità, il suo sé. (O.SACKS)
Abbiamo inziato quasi per caso, o per puro divertimento, a
scrivere queste pagine.
Uno,
io, cosi lontano dal mondo della musica.
L’altro, Indio, cosi lontano dalla letteratura.
Eppure,
ci ha accomunato quel senso di nostalgia che ci portiamo dentro e ci ha
condotto, attraverso l’un l’altro, a
rievocare il ‘racconto’ di noi stessi.
Ma
la vera protagonista è la Patagonia rivissuta attraverso il filtro dei ricordi,
col suo ostile ma naturale “VIENTO Y SAL”…
Video registrato in Patagonia Argentina (Comodoro Rivadavia Chubut) Lumiere Film/ NTV Studio Nello Pennino Napoli / montato Video Production Carpi / Music Inside Studio Rovereto (Modena) Italy.
Flor Patagonia Prodaction / Lumiere Film
PD Video Production / CarpiMusic Inside Studio / Rovereto
Mode Italy
Viento y Sal
Quando sbarcai dal “colectivo”, l’occhio
e l’orecchio e gli odori stessi che
sentivo, mi disero che avevo
varcato un confine –
C’era una luce stupenda, di un pallidissimo
Ma finissimo oro –
Le nuvole sembravano fiocchi enormi, come
Di zucchero filato –Globi veloci, mossi da
un vento che li faceva danzare nell’aria,
violento, come sbattuti dai fili di un
Burattinaio invisibile – tuttavia torrenti di
Sole si stendevano sulla terra, arida,
inondando i campi di un colore non ben
definito. Da lontano si profilava all’orizonte
una catena di montagne –
sembravano beffarsi di quel vento forte e salmastro
Che rimoveva violentemente gli alberi e faceva
Rotolare i cespugli come
Briglie impazzite – esse no – erano immobili
Sembravano muoversi leggermente solo nei
Loro lineamente per la polvere che vorticava
E si alzava e si spegneva continuamente –
Insieme ai campi ai loro piedi, a quella terra
Forse color ocra, sembravano immuni dal tervore
Della vita di ogni giorno – forse oggetti
Collocati in un mondo disabitato –
Stavo tornando a casa e nella mia mente si
Affacciavano pensieri di ogni genere, pigri,
inafferrabili – nessun panorama somigliava a
quel mio panorama –
Pronunciai il nome di quella terra “Patagonia”
E mille volte lo ripetei affinché potessi
Riprendere quella familiarità che avevo sentito
Perduta – lo pronunciavo con accenti diversi,
ora con passione, ora con ironia, ora con rabbia,
ma il nome sembrava ribellarsi a farsi chiamare
Allora cominciai a dire “Patagonia” con tenerezza
E con un lieve accento di preghiera…….
Solo allora sembrò accettare il nome e accettare
Anche me….
A fare parte di quell’immensa solitudine che
Per tanto tempo mi ero portato dentro –
E mi parlò –
Con voce antica – con una cantilena familiare
Che richiamava le parole da tempo non più
Sentite – da accenti che pensavo dispersi
E finalmente mi senti a casa.